Ovvero come ricavare una storia bella e avvicente usando i materiali che hanno a disposizione tutti, ma sfornando un lavoro unico: Bull Mountain di Brian Panovich

Bourbon, bang bang e poliziotti americani
26 Giu 2017

Sono cresciuto in mezzo ai libri di mia nonna. Non erano libri eruditi, non avevano copertine in pelle, mia nonna ha forse la terza elementare e non mi ha passato i suoi Meridiani. I suoi libri erano volumetti economici con i lati arricciati, le pagine ingiallite e alcune macchie di sugo al pomodoro che ci schizzavano sopra direttamente dalla pentola. Erano libri che non stavano in una libreria Ikea, ma accanto al fornello. I segnalibri erano ricavati da biglietti dell’autobus o pezzi di cartone precedentemente scritti di cui si intuivano moncherini di parole come “Cipol” o “DETERSIV”, a volte nascevano dalla confezione della carta da forno ritagliata perché non si butta via nulla. I libri avevano tutti la copertina con un uomo e una donna abbracciati di solito, credo fossero Harmony. Era quel genere di libri che si comprano solo al supermercato o in edicola dove giacciono scoloriti accanto alle riviste di cucito. Però ecco mia nonna è fidelizzata a quella letteratura. Ogni volta che vedo un volume nuovo ne rimango stupito, sono stupito che lei legga e che oltretutto legga quel genere di storie d’amore. Mia nonna è una vera dura, una che uccide le vespe schiacciandogli la testa con le dita, non una lettrice seriale di Harmony. Questo pensavo, e sbagliavo. Da lei ho imparato che ognuno di noi ha i suoi libri.

Oltre a questo da mia nonna ho imparato il senso di fedeltà ai propri temi, il piacere della lettura priva di ogni intellettualismo, del diletto di ascoltare una storia che ci piace.

Io sono un lettore e un collezionista di libri, un feticista. L’unica differenza con mia nonna è che per me il prodotto non è mai secondo al contenuto. Se devo leggere un libro con la costoletta dura e le parole scritte con un brutto inchiostro, piuttosto non lo leggo.

E qui arrivo ad NN Editore.

foto di Todd Hido 

Quest’anno sto leggendo tanto, sarà l’anno della svolta o l’anno in cui ho tanto tempo libero o sarà che mi sono trovato di fronte a una serie di libri belli. Un colpo di fortuna, diciamo.

Di NN Editore mi ha colpito subito la morbidezza dei volumi, il bel rumore della carta e la sua elasticità. È raro tenere in mano dei bei libri che costano appena 16 euro. Per bei libri intendo: niente foto merdose degli autori, niente cagate grafiche in copertina, carta spessa. Così ho iniziato a ordinarli online e una volta che li avevo in mano addirittura a leggerli. Non era scontato che li leggessi, potevano anche rimanere li, intonsi, come spesso succede, ma erano scritti bene e me ne sono sparati due in una settimana, Tom Drury e Kent Haruf (e chiaramente ve li consiglio, il primo soprattutto vi farà dire: e che lo guardo a fare Fargo se posso avere questa roba qui?). Qui voglio parlare di Bull Mountain, l’esordio di Brian Panowich, non per altro ma è il primo di due volumi che mi sono stati regalati dall’ufficio stampa e sono arrivati sul mio tavolo nemmeno 24 ore dopo che li avevo chiesti. Nemmeno Amazon.

Tornando a mia nonna, lei ha i romanzi rosa io invece, nell’olimpo delle storie che potrei leggere per sempre e non stancarmi mai devo confessare una passione di genere, una roba un po’ imbarazzante. Io sono pazzo dei polizieschi. Non tutti i polizieschi, solo quelli americani. Non so nemmeno cosa voglia dire polizieschi, immaginate qualcosa in cui c’entri la polizia, i famosi agenti, il ridicolo HAI IL DIRITTO DI RIMANERE IN SILENZIO pronunciato sempre ridondante. Però so benissimo che si tratta di quei gialli-noir alla Ellroy e Winslow, quel genere di storie che scrivono bene solo gli americani. Bolano non le scrive così bene e per leggermi I dispiaceri del vero poliziotto ho dovuto faticare. Si sente che è un sudamericano e non un americano, ha una pesantezza intellettuale, un ansia millenaria e cilena che gli americani non hanno. Noi italiani ad esempio siamo ottimi in mille altre cose e anche noi abbiamo i nostri polizieschi, i nostri gialli, ma sono tutti all’italiana. Nessuno può scrivere un poliziesco all’italiana che sia un po’ all’americana, non sarebbe credibile. Perché non avremmo il bourbon, nessuno da noi beve il bourbon io non l’ho mai sentito ordinare a nessuno in un bar, non avremo le bande di motociclisti, i tizi che dicono “figlio di puttana” e non sappiamo a memoria i calibri delle armi che vengono usate. Se ti dico una Glock sai che calibro è? No. Panowich che è americano, se ne esce invece con Bull Mountain per NN Editore e tira fuori un’ottima storia di poliziotti, bang bang, tipacci, impastando una materia che è sua evidentemente e non risulta mai posticcio. Bull Mountain è un libro che tieni in mano bene e che butti giù tutto d’un fiato per poi scoprire solo alla fine che ci sarà anche un seguito.

Panowich è un ex musicista che pare abbia girato in lungo e in largo tutti i localini della costa e adesso si sia fermato ad Atlanta, dove fa addirittura il pompiere. Il pompiere negli USA è un mestiere serio, un mestiere di quelli che dice tutto di un uomo. Ci vogliono le palle per fare il pompiere e questo me lo fa stare subito simpatico. Panowich il pompiere comunque ha scritto un poliziesco della madonna come romanzo d’esordio, pubblicandolo a puntante ed entrando in finale del Los Angels Book Prize Qualcosa nella categoria thriller noir assieme a gente di livello tipo di Winslow.  Sulla quarta di copertina c’è pure un elogio di James Ellroy in persona e mi fa sorridere, perché Ellroy a quanto dice i libri degli altri non li legge e se li legge vuol dire che gli piacciono davvero. Magari ha conosciuto Panowich gli è bastato scambiarci due parole per decidere che era un grande scrittore. Comunque gli credo, ha ragione, Bull Mountain è ottimo.

foto di Todd Hido

Se avete voglia di andare in Georgia, se avete voglia di giacca dello sceriffo e di distintivo, di odore di montagna e di baita, di sentire storie di distillerie clandestine e laboratori di metanfetamina (ma non in stile Breaking Bad), se avete voglia di una saga familiare che investe tre generazioni e di conoscere tutto ma proprio tutto di una famiglia di delinquenti di nome Burroughs allora buona lettura. Questa è la parte spiccia. La parte alta riguarda una divisione in capitoli che ricorda Mentre morivo di Faulkner, ovvero ogni capitolo è dedicato e vissuto da un personaggio diverso, in una fitta rete di salti temporali che racconta una storia crudele di criminali e di valori distorti, di un dolore che passa di padre in figlio di violenza in violenza, di aberrazione in ingiustizia, fino a diventare un’accecante vendetta, il tutto molto mccarthiano. McCarthy aleggia sempre in tutti gli americani che vogliono scrivere questo genere di roba, ed è anche citato all’inizio dall’autore assieme a Giulio Cesare con un passo di Meridiano di Sangue.

Insomma questa è letteratura di genere, quella che non trova elogi nelle pagine culturali strapallose di Robinson o de La Lettura, quindi è roba ottima, pura e semplice, senza fronzoli, e io la amo quanto mia nonna ama in segreto i suoi Harmony. E io ne voglio già ancora e ancora e ancora e ancora.

Ray Banhoff

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